Propriocezione e “cervello profondo”
(da Ghepardi da salotto 2008 D. Riva 2019 4° edizione)
Propriocezione deriva dal latino (proprium = proprio) e dall’inglese (-ception, come reception) significa “ricezione di segnali propri”, cioè provenienti da strutture proprie (il primo uso conosciuto di questa parola risale al 1906). I segnali propriocettivi nascono infatti dai sensori presenti nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni e rappresentano il canale sensoriale più importante. Senza di essi possono esistere solo movimenti lenti e impacciati che richiedono lunghissimi allenamenti ed il continuo controllo della vista per essere effettuati. I sensori propriocettivi sono in grado di trasformare la deformazione meccanica dovuta alla pressione, allo stiramento e alla tensione in segnali elettrici e di inviarli attraverso le fibre nervose al midollo spinale. Questi segnali risalgono quindi fino al “cervello profondo”, strutture nervose che rimangono al di sotto dei livelli della coscienza (sottocorticali).
Approssimativamente solo un segnale su un milione tra quelli che arrivano al “cervello profondo” raggiunge il livello cosciente (propriopercezione) ed è responsabile del senso di posizione e di movimento di un’articolazione (sapere ad esempio qual è la posizione di una mano ad occhi chiusi). La maggior parte del flusso dei segnali propriocettivi (archeopropriocezione), si ferma a livello del “cervello profondo”, cioè a livello delle strutture più primitive e arcaiche del sistema nervoso, presenti in tutti i vertebrati, da cui dipendono la qualità, la fluidità, la sicurezza dei movimenti, la postura e la gestione dell’equilibrio e che non sono sotto il dominio della coscienza.
Perché i segnali propriocettivi, che raggiungono il livello cosciente, sono soltanto uno su un milione? Risponderò con una domanda. È utile che il presidente di una grande azienda multinazionale sia informato, minuto per minuto, di come varia la produzione nei vari stabilimenti sparsi per il mondo? Sicuramente no, i suoi compiti sono altri. Allo stesso modo la corteccia cerebrale, che si è formata in un momento successivo rispetto ai centri arcaici più profondi, riceve solo quella piccola parte di segnali che le sono utili per essere al corrente di cosa succede e che è in grado di gestire compatibilmente con i suoi tempi di elaborazione. Ricevere più segnali non aggiungerebbe nulla al suo livello di conoscenza, perché non sarebbe sufficientemente veloce per elaborarli e l’eccesso di informazione manderebbe in crisi il sistema.
I centri nervosi più antichi, che l’uomo condivide in gran parte con gli altri vertebrati, erano perfettamente in grado di assolvere ad un raffinato controllo del movimento, dell’equilibrio e della stabilità articolare ben prima che comparisse lo sviluppo delle aree corticali tipiche dell’uomo.
È quindi ovvio che il massimo livello funzionale per svolgere le funzioni di mantenimento dell’equilibrio, posturali, di controllo di gran parte dei movimenti sia stato raggiunto in assenza delle strutture corticali
Il “cervello profondo” è costituito dalle parti più antiche del sistema nervoso: midollo spinale, tronco dell’encefalo e parte primordiale del cervelletto.
Che cos’è la postura?
La postura è la posizione che il corpo assume per controbilanciare la forza di gravità. Se non c’è gravità non c’è postura, ma solo posizioni del corpo. Il movimento può essere descritto come una serie di fotogrammi posturali che scorrono ad alta frequenza.
I canali sensoriali: la supremazia propriocettiva
I milioni di sensori legati al movimento ed al mantenimento di postura ed equilibrio sono la sorgente di miliardi di segnali e le fibre nervose sono i canali con cui ad ogni istante vengono trasmessi ai centri nervosi.
Un grande flusso di questi segnali è indispensabile sia per mantenere un buon livello di capacità motorie sia per consentire la “manutenzione” dei muscoli, dei tendini e delle ossa. Se il flusso si impoverisce o si arresta, i nostri muscoli si atrofizzano e le ossa si sbriciolano.
Ecco i principali flussi sensoriali che originano nel nostro corpo:
• esterocettivi (da recettori cutanei sensibili al tatto, alla pressione…)
• propriocettivi (da recettori presenti in muscoli, tendini e articolazioni)
• vestibolari (dall’organo dell’equilibrio)
• visivi
• uditivi
• palatali (gustativi)
• olfattivi
• sessuali (utilizzano recettori comuni agli altri canali)
Possiamo considerare questi canali sensoriali come gli affluenti di un grande fiume. Il benessere del territorio circostante dipende dal livello delle acque del fiume e dalla qualità di queste acque. Il nostro “fiume sensoriale” invece che di acqua è formato da una enorme quantità di segnali e il primo obbiettivo dei centri nervosi è quello di mantenere elevato il livello di flusso.
Sistemi sensoriali
Oggi tutti sanno quanto sia importante, nel prevenire atti terroristici, un sistema integrato di raccolta di informazioni (dalle riprese con il satellite, alle immagini fornite dalle telecamere nei luoghi pubblici, alle intercettazioni telefoniche e ambientali, agli agenti infiltrati ecc).
Ebbene, è proprio su un formidabile sistema di raccolta di informazioni che si basa il controllo del movimento e della postura. In particolare sono tre i canali sensoriali più importanti coinvolti nel controllo della postura e del movimento:
• il sistema propriocettivo è lo stabilizzatore primario che con milioni di sensori presenti in muscoli, tendini e articolazioni informa ad altissima velocità i centri nervosi (potremmo considerare i sensori come microspie che informano istantaneamente i centri di ascolto). Utilizza le fibre nervose più grandi e veloci in cui i segnali corrono ad una velocità di 80-120 metri/secondo. Per capire quanto questa via sia prioritaria è sufficiente ricordare che il “dolore” viaggia ad una velocità anche 100 volte inferiore (0,5-5 metri/secondo). Al tempo stesso questo sistema è coinvolto nella risposta meccanica e su di esso si basa la possibilità di modulare la risposta muscolare;
• il sistema visivo interviene come stabilizzatore secondario ed è un meccanismo di puntamento in grado di “ancorare” il corpo a punti di fissazione ambientali, migliorando la stabilità basata sulle sole informazioni propriocettive. Migliore è la stabilità monopodalica basata sulle sole informazioni propriocettive, più sicuri saranno i movimenti abituali (come camminare, salire o scendere da uno scalino…) che potranno avvenire minimizzando il rischio di caduta;
• il sistema visuo-propriocettivo (sistema di precisione): l’azione congiunta dei due sistemi consente il massimo livello di espressione motoria e l’esecuzione dei movimenti più complessi e veloci;
• il sistema vestibolare (sistema di emergenza) è il meccanismo più tardivo a entrare in gioco, perché presenta una soglia di attivazione più elevata. La maggior latenza del sistema meno preciso e più violento è un fattore positivo, perché consente all’azione congiunta degli altri due sistemi (sistema di precisione) di gestire gran parte delle situazioni posturali in modo più raffinato. Rappresenta pertanto un mezzo di emergenza che sovrasta gli altri due sistemi, quando la destabilizzazione del capo supera una certa ampiezza e accelerazione. Il sistema vestibolare è invece continuamente ed istantaneamente attivo nell’informare i centri nervosi sulla posizione della testa rispetto alla forza di gravità.
Il malinteso propriocettivo
Una vasta tipologia di esercizi è proposta come propriocettiva, ma quali caratteristiche dovrebbe avere un esercizio per essere classificato come propriocettivo? Generalmente, i cosiddetti esercizi propriocettivi richiedono la gestione di instabilità.
Il problema è che ogni movimento e ogni postura possono essere definiti come propriocettivi perché ognuno di essi genera un flusso propriocettivo. Quindi, qual è la soglia per chiamare un esercizio “propriocettivo” e come possiamo valutare diversi livelli di coinvolgimento propriocettivo e di efficacia?
A nostro avviso, un esercizio dovrebbe essere classificato caratterizzando la tipologia meccanica della instabilità, la presenza di un potenziatore della frequenza di instabilità, i compiti assegnati al soggetto, e i risultati quantificabili attesi.
Beyond proprioception (oltre la propriocezione)
Perché “Oltre la propriocezione”? Perché il RivaMethod oltre ad ottimizzare il controllo propriocettivo, basa una parte significativa della sua efficacia sulla capacità di indurre un “rimodellamento strutturale” e un aumento della “resilienza” e della “elasticità” delle centinaia di legamenti e capsule articolari che sono presenti nell’arto inferiore (in particolare nel piede e nella caviglia) e nella colonna vertebrale. Questo aumento della resilienza e dell’elasticità contribuisce in modo determinante all’aumento di solidità e stabilità di queste strutture insieme alla maggior efficacia dei muscoli stabilizzatori.
Le basi del Metodo Riva
Il Metodo Riva, come dimostrato scientificamente, permette di ottenere la più alta efficacia mai raggiunta prima in studi pubblicati a livello internazionale, riducendo le distorsioni di caviglia dell’81%.
Il Metodo Riva si basa sull’High-frequency Proprioceptive Training, un metodo di allenamento e riabilitazione che consente di ottenere un aumento del controllo propriocettivo e, di conseguenza:
- Incremento della stabilità monopodalica basata sui riflessi propriocettivi
- Aumento della forza frenante anti-distorsiva dei muscoli stabilizzatori
- Riequilibrio dell’assetto del piede nella fase aerea che precede il contatto con il suolo
- Accrescimento dell’endurance del controllo propriocettivo (mantenimento della stabilità anche in condizioni di fatica)
- Incremento della resilienza (cioè della resistenza strutturale) e dell’elasticità dei legamenti e della capsula articolare alle forze di trazione applicate durante l’evento distorsivo
Per visualizzare meglio quanto affermato proviamo a paragonare la struttura fisica in esame ad un’automobile che si muova in strada e che sia in condizioni critiche, prossima all’auto che la precede.
Rispetto ad un’automobile normale, se la vettura è stata “trattata” con il Metodo Riva risulterà avere:
- Un miglior assetto di volo del piede, corrispondente ad un aumento della distanza dall’auto che ci precede, con quindi più tempo a disposizione per attuare le contromisure protettive
- Un incremento della efficacia dell’azione frenante: si riduce l’energia dell’evento distorsivo, grazie alla maggior forza dei muscoli stabilizzatori.
- L’aumento della resilienza e dell’elasticità dei legamenti e della capsula articolare migliora la loro capacità di deformarsi e ritornare allo stato che precede l’evento senza subire danni, assorbendo l’energia cinetica che residua dopo l’intervento frenante dei muscoli stabilizzatori.
E’ come se il telaio dell’auto riuscisse a deformarsi durante l’impatto, assorbendo l’energia che residua dopo la frenata e ritornasse poi alla sua forma originale senza danni.
Per questo motivo il 66,6% delle squadre di basket dell’NBA usano questa metodologia. Per questo motivo gli atleti NBA che utilizzano il RivaMethod con il sistema Delos segnalano che eventi distorsivi apparentemente della stessa gravità di quelli subiti nel passato sono assorbiti senza danni.
In che modo agisce il Metodo Riva?
Il meccanismo con cui agisce il Riva Method può essere riassunto con questa frase:
“NOI SIAMO QUELLO CHE FACCIAMO”
Il Riva Method cambia le nostre capacità funzionali e le nostre strutture risvegliando un potenziale che è scritto nei nostri geni ma che ha bisogno di essere attivato dopo anni di disuso. Se entriamo in una stanza buia dobbiamo trovare l’interruttore della luce per poterci muovere in sicurezza e svolgere le nostre attività.
Il Riva Method è il percorso che ci consente non solo di trovare l’interruttore della luce ma anche di rimettere in funzione e rendere efficiente l’impianto elettrico, sostituendo le componenti inadeguate (come cavi, lampadine, interruttori). L’aspetto straordinario di questa metodologia è che queste risorse sono già presenti in noi e devono solo essere riattivate.
Effetto A: riprogrammazione del controllo propriocettivo con aumento della stabilità in appoggio monopodalico. Questo effetto attenua fino a rimuovere le cause meccaniche che causano il processo infiammatorio responsabili di una patologia. Consideriamo l’esempio di un’auto: è più stabile e sicura, tiene meglio la strada e può viaggiare più veloce su ogni terreno, tutte le strutture si usurano meno.
Effetto B: rende il controllo propriocettivo duraturo e resistente evitando il decadimento da fatica. Riprendiamo l’esempio dell’auto: i benefici dell’effetto A si mantengono inalterati senza decadere anche nel caso di viaggi lunghi e faticosi.
Effetto C: l’applicazione di decine di migliaia di sollecitazioni meccaniche, di medio e bassa intensità, divise per categoria consente di ottenere un rimodellamento strutturale con aumento della resilienza dei legamenti e delle strutture articolari. Questa capacità autorigenerante è una caratteristica esclusiva della macchina umana e animale.
Effetto D: attivazione della riserva funzionale presente in ogni individuo. Avviene per sommazione degli altri effetti (soprattutto A e B).
Quindi tutte le patologie infiammatorie da causa meccanica tendono progressivamente ad attenuarsi e poi a scomparire in maniera spontanea e definitiva in seguito all’azione congiunta e sinergica dell’effetto A e dell’effetto B.
Il Riva Method consente di predire una instabilità insorgente oltre 10 anni prima che la percezione di insicurezza diventi sintomatica e che il rischio di caduta diventi un pericolo reale. La combinazione dei tre effetti consente di ridurre significativamente il rischio di caduta ed è tanto più efficace quanto più è somministrato precocemente.
Se prendiamo il caso di una patologia neurologica come la Sclerosi Multipla sappiamo che esiste un danno anatomico che compromette le capacità funzionali. A questo si aggiunge sempre un danno secondario da non uso e semplificazione dei compiti. La prima risposta di fronte a un problema motorio è infatti quello di cercare di semplificare i compiti, scelta che porta ad un’ulteriore, rapida ed inesorabile regressione delle capacità. Certamente negli stadi avanzati della malattia la riserva funzionale si riduce, ma per molti anni può rappresentare un’opportunità per migliorare la qualità della vita recuperando la propria autonomia motoria.